In occasione della doppia personale umbratilis di Maurizio Pierfranceschi e Karmen Corak, il 28 gennaio 2014 inaugura presso la Gallery of Art – Temple University di Roma la mostra lamenti di Valentino Ioschici (Timișoara, Romania, 1986). L’opera grafica del giovane artista, che comprende disegni e chine su carta da spolvero datati tra il 2012 e il 2014, è presentata per la prima volta al pubblico.
Se guardo un acquerello di Valentino vedo la bellezza dello stelo inarcato di un fiore, vedo una vivace sequenza di foglie, due occhi curiosi che cercano di interpretare il mondo, un orizzonte alto e promettente, ma, insieme, nello stesso momento, come se si fosse compiuta davanti a me una condensazione, vedo un paio di occhi ciechi, come tappati da folte sopracciglia, vedo una minacciosa sequenza di lance su un terreno franoso, due braccia legnose disposte a colpirmi, un’infinità di denti affilati che mi sfidano. Se guardo meglio non vedo niente, o, per dirla con più precisione, non vedo niente di quello che avevo visto; la condensazione non ha portato a nulla, si è trasformata nella sua antinomia, in una diluizione totale, fatta di dispersioni, sparpagliamenti e versamenti. I legacci che tenevano insieme le figure, i contorni netti che le raccoglievano si sono allentati, si sono sciolti, lasciando la materia libera di raccontarsi, senza intermediazioni o costringimenti. Come il bordo cedevole di un’impronta sulla sabbia, tutto nelle immagini di Valentino sembra disporsi secondo il principio della massima entropia, come se il desiderio di disordine informasse ogni singola goccia d’inchiostro sulla carta. Questo mi sembra il principio del fascino delle opere di Valentino, quella capacità di trasmettere due sensazioni antitetiche in un sol colpo: la salubrità di un’immagine familiare, la riposante confidenza che si sviluppa con essa, l’appagante commozione del rispecchiamento, dall’altra parte, invece, l’imbarazzante impressione di non saper definire, l’oscenità di una materia che si slabbra, l’insensatezza di un bordo acuminato che è anche smussato fino all’indulgenza… (Fabio Cafagna)
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